Che tempi quei
tempi! La guerra rabbrividiva l'esistenza mettendo in bocca il fiele del
vuoto lasciato dalle persone inghiottite dall'assurdo bellico e la vita si
nutriva della paura frammista alle speranze della ricostruzione. Anche la
parrocchia, la nostra parrocchia, diventava la madre di questo nuovo ciclo
che adesso provano a raccontarci i ragazzi di ieri, gli adulti di oggi.
C'era una volta un
chierichetto che, sul finire degli anni trenta, pestava i piedi lungo il
corridoio di Santa Teresa; del resto quel corridoio era l'unico spazio
disponibile. Si trattava di un ragazzino piccolo, magro e dai capelli scuri,
il sorriso sbarazzino dietro l'aria svelta: Totò Biscardi, negli anni a
seguire una delle quinte colonne della parrocchia.
Molto diversa allora, come
molto diverso era anche l'ambiente circostante, a partire da via Filippo
Parlatore. Ricorda l'amico Totò come ci fosse un lungo muro di fronte, che
partiva dal Mamiani per arrivare al Manzoni. Beh, in realtà, le due scuole
non c'erano: quello era ancora il regno assoluto dei Whitaker. "C'era un
nostro amico - racconta - mi pare si chiamasse Arnetta che ogni giorno
balzava sopra il ciglio del muro e lo percorreva tutto di corsa: era uno
spettacolo! Che fine ha fatto? Mah, so che è andato in America".
Noi restiamo ancora qui invece. Al tempo in cui il pavimento della chiesetta
"veramente piccola, così piccola - ci racconta il buon Totò - che i padri
dovevano dormire in chiesa dove adesso c'è il confessionale" e le strade del
territorio parrocchiale erano solcate da sacerdoti come padre Tenzi o padre
Baiocchi. Ma ne passarono altri. "Era un continuo via vai. Ogni due-tre
anni, con nostra stizza, i padri venivano trasferiti". Si racconta infatti
di un fitto carteggio con il provinciale di allora, padre Arcangelo
Pillarella, destinatario di una cortese protesta da parte dei membri
dell'Azione Cattolica, i quali non gradivano il fatto che i loro assistenti
spirituali cambiassero così frequentemente.
Fatto sta che, dopo i
succitati parroci, arrivò padre Enrico Lombardi senior, sì proprio lo zio
del nostro junior.
E poi come non ricordare
fra Preziosa? "Era una festa quando portava noi chierichetti a fare il
bagno". A Mondello? "Macchè al fiume Oreto", dice divertito Totò Biscardi.
Una volta si poteva fare.
Molti ricorderanno pure che
accanto alla parrocchia c'era la fabbrica del ghiaccio. Nell'immediato
dopoguerra fu sequestrata dagli americani ed essergli amici era una vera
fortuna. "Entrò nelle loro grazie - continua il suo racconto Biscardi -
padre Russo. Ed essere in confidenza con gli americani significava avere il
ghiaccio e la carne surgelata che il sacerdote distribuiva ai parrocchiani".
Padre Russo riuscì anche a farsi dare alcuni giochi per i suoi ragazzi. "Fra
questi pure una palla di ferro. E siccome eravamo abituati a divertirci con
poco, il nostro gioco preferito diventò il lancio della palla contro il
lungo muro. Finchè esso restò lì ne portò i segni".
E poi i dolci! Ah i dolci!
"In via Dante abitava la famiglia di Padre Puglisi - continua Totò - ed era
una festa quando andavamo in quella casa, perchè la signora Filomena, la
madre di Carmelo, ci preparava le rosette con la marmellata. Una cosa mai
vista". Ma la golosità qualche volta può causare problemi. Come quando sul
finire degli anni cinquanta, ricevuto in dono dai Whitaker il terreno su cui
sorge l'attuale Oratorio, i ragazzi furono attirati da un nespolo: "Facemmo
una scorpacciata, peccato che non erano mature per cui ci sentimmo tutti
male, specie mio fratello Stefano".
Biscardi era dell'Azione
Cattolica. E lo era anche Lia Cerrito. Del resto non c'erano alternative,
anche se essere di sesso diverso allora significava far parte di gruppi
differenti. "Niente gruppi misti - dice Lia - e bisognava vestire
rispettando certe regole, compresa quella della lunghezza delle maniche".
Un'educazione rigorosa, dunque, ma anche audace, per certi versi.
"Il nostro motto era Eucaristia, Apostolato, Eroismo. E così si respirava
davvero l'ansia apostolica nei nostri gruppi e nelle nostre attività". E la
guerra? "La guerra pesava sulla nostra giovinezza, ma non le toglieva la
gioia. Piuttosto si rafforzava il senso di iniziativa, la voglia di
ricominciare, di non fermarsi. Non ci spaventava nemmeno la povertà. Ricordo
che con mia madre organizzavamo attività e recite con pochi mezzi, con
quell'ansia di fare e di vita, con quella tensione apostolica che spesso noi
non vediamo.